IDILLIO BARLETTANO
(Panegirico in versi sciolti)

Tanto, di Te Barletta, vorrei cantare, De’ Tuoi prischi, radiosi fasti, de’ Tuoi aprichi, ubertosi campi, del Tuo palpitante, pescoso mare; De’ Tuoi prodi Figli, de’ garruli pargoli, di muliebre beltade, Gaudio m’è ognor saperTi olente fiore all’occhiello dell’appule contrade.

Dal glauco mare, ad orto, il sol vermiglio destandosi Ti accarezza, Adagiandosi, all’occàso, e molcendoTi ei Ti fa tenerezza; Dalla Sterpetum Virgo, patrocinata sempre, e da San Ruggiero, Saetta venificata fu o strale uman di oscur destin foriero.

Matrigna e il guardo arcigno, dicon, hai avuto, Quando, nel grembo, i Tuoi figli hai mal rattenuto; Ma in serbo, Te, hai voluto tacita soffrir, Quando, per l’opra o l’armi, quei figli hai visto partir.

No, non Ti crucciar se, come un tempo, più non esplodi Per le vestigia e gli allori di Fieramosca e de’ Suoi dodici Prodi; Intriso hai nel Loro sangue l’amore e l’ardimento, Tal che ne hai fatto di Essi un firmamento.

Or, fulgidi Astri il Tuo ciel costellano, non punti inani, Se la Gloria si crogiolò in De Gennaro, Conteduca, Carli, Casardi, Coletta e Vitrani; Essi non disdegnaron mai pugnar per Te e per un’Italia bella, Se proseliti ebbero: Chieffi, Rizzitelli, Sernia, Boccassini e Stella.

Se Bardylis, a sua dimora, il Tuo bel sito elesse e di sua primigenia gente, Pietro, il Conte di norman progenie, guarnita Ti volle, balda e giammai dell’usurpator servente; Prodigo il Tuo grembo fu di orafi, cerusichi e pittori, Nè frustro, eziandìo, fu di musici, poeti e scultori.

Del Colosso, crollato in Rodi, detta Tu fosti la Città, Ma, a Te, carpir quel titolo, ignominia sembrò, viltà; Con modestia, così, Eraclio Ti rimbeccò e con cipiglio, Mennea additandoTi, disse: “Inanimato ospite, io; ei’l Gran Figlio”.

Di Dante, il dolce labbro, né di Curci l’estro m’è dato, di De Nittis o di Botticelli, Per elevar carmi, sublimar l’etere o depor tele ai Tuoi pie’ come gioielli; Ma possa a Te giugner pel mia gran disianza, Dell’igneo cor mio, l’amor, in tutta sua possanza.

O te foresto, viandante ignaro, Scovriti il capo quando Barletta odi nomar, patria di Glorie e di civiltà faro; E te marran, di ludibro gentame, Rammenta, di Barletta il suol calpesti, non laido strame.

Dedicar a Te, Barletta, ho voluto questo mio canto, De’ Tuoi figli, il fior, ascosa ho la speme e il pianto; All’ombra di un cipresso, diman, vorrei poter dire: “Barletta, vecchia mia cara, librati, or puoi gire”.